top of page

Sì all’ergastolo. No alla crudeltà. Il dolore che non entra nei codici

  • Alice Ciardo e Francesca Piceci
  • 28 apr
  • Tempo di lettura: 4 min

La morte di Giulia Cecchettin ha spezzato non solo una vita, ma anche l'illusione di sicurezza. Il processo a Turetta riapre il divario tra legge e morale. Ecco cosa ne pensiamo noi.




“Aveva 22 anni. Un futuro. Dei sogni. Una sorella che la aspettava a casa. Invece no.”


Giulia Cecchettin non è più solo un nome. È diventata un simbolo. Di ciò che si perde quando la violenza spezza una vita giovane, di ciò che resta a chi sopravvive: dolore, rabbia, domande.Il suo femminicidio, avvenuto per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, ha sconvolto l’Italia, non solo per la brutalità dell’atto, ma per il modo in cui ha toccato corde profonde, specialmente tra i giovani: l’illusione di essere al sicuro, la fragilità dei rapporti, l’urgenza di una società che non sa ancora difendere le sue ragazze.


Giulia Cecchettin, una 22enne di Vigonovo (Ve), è scomparsa la sera dell’11 novembre 2023, mentre era in compagnia dell'ex fidanzato Filippo Turetta. Dopo circa una settimana il corpo della ragazza è stato trovato senza vita in un canalone vicino a un lago di Barcis (Pordenone) il 18 novembre, mentre il ragazzo è stato fermato in Germania la notte tra il 18 e 19 novembre, dopo che per lui era stato emesso un mandato di cattura internazionale.


L'autopsia sul corpo chiarisce come Giulia sia morta per dissanguamento dovuto alle coltellate ricevute: 75 totali, alla testa e al collo.


Il 23 settembre 2024 ha avuto inizio il processo con rito abbreviato a Filippo Turetta, accusato di omicidio volontario, aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza, stalking e occultamento di cadavere. L’imputato è stato condannato all’ergastolo. Nessuno discute che abbia ucciso Giulia, ma la Corte d’Assise ha deciso: niente aggravante della crudeltà. Niente aggravante dello stalking.


E qui si apre la frattura.


Perché non crudeltà? Per i giudici non è sufficiente il numero dei colpi inferti, non basta che la morte sia stata lunga e dolorosa. Secondo la legge italiana, l’aggravante della crudeltà si applica solo quando l’autore vuole infliggere sofferenze gratuite, aggiuntive rispetto all’uccisione stessa. Deve esserci un intento sadico, una volontà deliberata di far soffrire. Nel caso di Turetta, i giudici hanno ritenuto che la sua azione, per quanto brutale, fosse diretta a uccidere – non a torturare.


Un dettaglio che pesa. Che divide. Che lascia ferite.


L'aggravante di crudeltà non è stata dunque riconosciuta perché la nostra legge non valuta il numero di colpi inferti ma l’intento dell’aggressore; nel caso di Turetta la corte d'Assise ha visto nel numero esagerato di coltellate inflitte a Giulia, che ne hanno causato il dissanguamento, solo un atto dettato dall'inesperienza e dall'impeto.


Ma qual è la risposta dell'Italia? O di noi ragazzi?


Questo caso, come altri, ha fatto discutere molto, e soprattutto in seguito all'ultima sentenza si è sentito molto dibattere: il web è stato invaso da video che presentano persone che replicano su cuscini o peluche la scena, chiedendosi come possa non essere “crudele” un atto simile, eppure non lo è, almeno dal punto di vista strettamente giuridico. Questo caso ha fatto aprire gli occhi a molte persone, anche a noi giovani, che non sempre ci preoccupiamo di seguire fatti di cronaca e viviamo nell'illusione che atrocità del genere non ci toccheranno mai, che noi siamo diversi, che le persone che ci circondano sono diverse e che non potrebbero mai compiere azioni del genere. Ma purtroppo è anche quello che pensava Giulia, e come lei tante altre. Quindi, cosa dovremmo fare? Dovremmo vivere con l'illusione che non potrà mai succedere una cosa del genere o vivere nella paura che invece possa accadere anche a noi?


Serve consapevolezza, ma serve anche sicurezza. Oggi più che mai è necessario che qualcuno si attivi perché i ragazzi di oggi, ma soprattutto le generazioni a venire, possano sentirsi al sicuro. I giovani non vanno illusi di una realtà che non esiste, ma non devono nemmeno vivere nella paura che succeda loro qualcosa, devono essere solo educati affinché siano finalmente consapevoli che azioni del genere sono sbagliate e non devono nemmeno essere prese in considerazione.

L'aggravante di crudeltà non attribuita a Filippo Turetta ha generato scalpore, ma viene da chiedersi: è la legge in errore o lo siamo noi?


Probabilmente nell'immaginario comune la crudeltà si configura già nell'atto di uccidere perché non si è in grado di accettare un rifiuto e quindi molti, secondo questo ragionamento, avrebbero assegnato la suddetta aggravante. Ma se per la legge non è crudeltà, cos'è la “crudeltà” in senso giuridico? E come si contrappone alla morale comune?


Come già accennato, la maggior parte di coloro che hanno seguito il caso ritengono la sentenza del giudice completamente errata, in quanto vede un ragazzo colpevole per aver accoltellato la ragazza che amava per mero senso di possesso e per mancata accettazione, ma non crudele. Come se uccidere fosse un atto delicato. E da qui traspare la morale, il buon senso, ciò che spinge molte persone a ritenere aberrante un atto simile, perché ha troncato bruscamente una vita. La legge, però, è scritta, consta di articoli e codici ben precisi, nei quali la crudeltà appare quasi separata dall’omicidio in sè (tanto che la “crudeltà” in senso morale è in un certo qual modo stata riconosciuta all’imputato con il delitto di omicidio). Si deduce allora che alle volte si crea una separazione fra la legge e la morale, perché non sempre ciò che è considerato moralmente giusto è consentito dalla legge, e ciò che la legge impone è moralmente giusto.


La legge ha escluso la crudeltà. La realtà, no. E a volte, tra ciò che è legale e ciò che è giusto, c’è un abisso che solo chi ha perso può davvero vedere.


Comentários


bottom of page