L'anno all'estero: l'esperienza di Giorgio
- Alessandro Borlizzi
- 21 mar
- Tempo di lettura: 8 min
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un incremento delle esperienze di studio all’estero. Che cosa significhi davvero vivere questa esperienza lo abbiamo chiesto a Giorgio Martella, della classe VA del Liceo Classico.

Il viaggio e l’esplorazione di nuovi Paesi e culture rappresentano un’aspirazione universale, scaturita non solo dalla naturale attrazione verso l’ignoto e il diverso, ma anche dalla consapevolezza dei molteplici benefici che ne derivano. L’esperienza di immergersi in ambienti inediti, di confrontarsi con orizzonti culturali differenti e di adattarsi a climi e atmosfere lontani dalla quotidianità costituisce un prezioso arricchimento personale. Essa favorisce, infatti, una maggiore capacità di interpretare la realtà nelle sue molteplici sfaccettature e di approcciarci a essa.
In quest’ottica, negli ultimi decenni si è affermata con crescente rilevanza l’opportunità, per studenti di ogni fascia d’età, di trascorrere un anno accademico all’estero. Già nel 1987, in Europa, venne istituito il programma “ERASMUS”, un’iniziativa promossa dall’Unione Europea per incentivare la mobilità studentesca e gli scambi culturali. Con il tempo, queste esperienze si sono ampliate ben oltre i confini del continente, dando vita a una fitta rete di collegamenti internazionali che oggi coinvolge quasi ogni angolo del pianeta. Numerose agenzie specializzate coordinano ogni anno il trasferimento di milioni di studenti, rendendo l’apprendimento in contesti culturali stranieri sempre più accessibile e diffuso.
L’acquisizione o il perfezionamento delle competenze linguistiche è solo uno degli obiettivi che tali percorsi si prefiggono. La vera essenza di un’esperienza di studio all’estero risiede nella capacità di adattarsi a un ambiente alieno, di confrontarsi con nuovi modelli educativi e di maturare un più profondo senso di autonomia e consapevolezza globale.
Per comprendere appieno l’impatto di questa opportunità, abbiamo raccolto le testimonianze di Giorgio Martella, studenti del Liceo Stampacchia, i quali, nel corso dell’anno scolastico 2023/2024, hanno vissuto in prima persona questa avventura formativa oltre i confini nazionali.
Siamo con Giorgio Martella, alunno della classe VA del liceo classico. Partiamo con la prima domanda: qual è stata la motivazione che ti ha spinto a fare questa esperienza?
Da quando ero in terza media ho visto vari amici di famiglia che andavano in America, Canada, in Australia… Mi ha sempre intrigato come esperienza; l’avrei sempre voluta fare insomma. E poi, con il passare degli anni, mi è sembrata molto utile a livello formativo, oltre che di curriculum.
Dove e quando l’hai fatta?
È stato nell’anno scolastico 2023-2024, nello stato di New York (n.d.r uno dei cinquantuno stati degli USA), in un paesino chiamato Parish, di circa 500 abitanti, più o meno a tre ore dal Canada.
Quando sei partito? Quando tornato?
Sono partito il 9 agosto del 2023, e sono tornato il 9 luglio del 2024. Sono tornato dieci giorni dopo rispetto a quanto previsto, perché i miei genitori sono venuti a trovarmi e siamo andati un po’ in giro.
Come hai percepito e affrontato la separazione con la tua realtà quotidiana, con la famiglia e con gli amici che hai qui in Italia?
In realtà non mi è pesato molto, per il fatto che ero consapevole che sarei tornato dopo un anno. Comunque possiamo dire che non mi sia pesato parecchio, anche perché lì ho subito cominciato con gli sport, con i giochi di squadra, e, essendo straniero, sono stato molto considerato e desiderato dai ragazzi.
Insomma, anche tu eri una novità nei loro confronti
Sì, una novità, e quindi si è molto cercati. Per cui, diciamo, che non mi sono mai ritrovato da solo. E ciò mi ha aiutato molto.
E che rapporto hai avuto con la famiglia ospitante?
In quanto alla famiglia ospitante, penso che, considerando la zona dove sono capitato, sia stata la migliore famiglia che avrebbe potuto ospitarmi; una famiglia molto attiva a livello di attività extracurriculari, cioè al di fuori della scuola. Andavamo fuori: abbiamo fatto dei viaggi in Florida, New York ecc. Mi sono ritrovato in una famiglia dalla mentalità molto aperta, il che non è scontato in America, perché tante volte sono molto chiusi nel loro essere, nelle loro idee, e non sono in grado di aprirsi.
Invece con gli amici, o, in generale, con le persone che hai conosciuto?
Con gli amici comunque ho avuto un buon rapporto, anzi, forse migliore, che si è ovviamente costruito nel tempo. Non è detto che i primi amici che trovi siano quelli con cui passerai il resto dell’anno; magari inizialmente ti trovi maggiormente d’accordo con uno, però, con il passare del tempo ti rendi conto che c’è altra gente con cui è meglio stare e con cui stringere un rapporto più stretto.
Le famiglie ospitanti come vengono selezionate? Si propongono oppure vengono ricercate direttamente dalle agenzie che organizzano queste esperienze?
La maggior parte delle volte si propongono loro. Però, ad esempio, sono stato in Irlanda nel 2021 e tante volte chi organizza, rendendosi conto che in quella zona sono presenti molte scuole che accettano gli studenti esteri, va a cercare anche delle famiglie propense a ospitarli.
Come si sono modificate le tue abitudini o, in ogni caso, la tua routine quotidiana nel corso della tua esperienza?
Il cambio è stato radicale. Specialmente quando c’era lo sport e ogni giorno c’era allenamento. Io andavo a scuola alle sette e mezza, si cominciava alle sette e mezza e si finiva alle due e mezza; dopo una mezz’ora di pausa si incominciava già con l’attività sportiva. Quindi io tornavo a casa per le cinque e mezza di pomeriggio.
E, inoltre, anche quando tornavo a casa spesso facevo una qualche attività, essendo il paese piccolo ed essendo io, comunque, molto apprezzato e ricercato da parte della comunità. Ero sempre impegnato, mentre ora mi ritrovo tante volte a casa a non fare niente.
Hai fatto notare come le attività extracurriculari fossero preponderanti, a differenza di quanto avviene all’interno della scuola italiana. Quali sono le altre differenze tra il sistema scolastico italiano e quello, in questo caso, americano?
Possiamo partire dal fatto delle materie. Qui in Italia, per esempio, abbiamo i vari istituti: tecnici, professionali, scientifici, classici ecc; per cui tu, una volta che scegli il tuo indirizzo, hai la possibilità di cambiare, ma diciamo che dovresti seguire quello per tutta la durata dei cinque anni. In America, invece, è tutto raggruppato in un’unica struttura, in un unico istituto dove vai a scegliere le varie materie. Poi, in base alle materie e in base al corso, durante la giornata ti sposterai all’interno della scuola, andando direttamente nell’aula del tuo professore. Per cui c’è la possibilità di scegliere le materie, a eccezione delle materie base che vanno fatte obbligatoriamente, per ottenere i crediti per potersi diplomare.
Anche il metodo con cui vengono scelti i professori è diverso. Mentre in Italia ci sono i concorsi pubblici e sono necessarie delle lauree specifiche sulla base di quello che devi insegnare, lì è un po’ diverso. Non saprei dirti con precisione in che modo, ma servono meno certificazioni.
In generale è un sistema che mi piace molto. Innanzitutto, perché ti dà la possibilità di relazionarti in modo più facile con i professori. Vengono perdonati di più gli errori, chiaramente a seconda del professore, e c’è anche la possibilità di ripetere più volte un compito, piuttosto che venire puniti perché lo si è fatto male. Tante volte è più facile imparare in questo modo, si è più propensi a farlo, piuttosto che con il sistema italiano.
D’altra parte, però, essendo tutto unito in un’unica scuola, non c’è una suddivisione degli alunni, mentre in Italia gli alunni che frequentano una certa scuola sono meno propensi a seguire un certo corso in un determinato modo. Dato che lì è tutto unito, ritrovi tanti tipi di personalità, che talvolta possono tirare indietro una classe, rallentando l’apprendimento.
Voi eravate divisi in classi sulla base della disciplina? Mi spiego: vi ritrovavate solo in occasione del corso di una determinata materia, non avevate delle classi fisse?
No, infatti. Per esempio, io che sono di quinto avrei potuto ritrovarmi con uno di quarto, facendo la stessa materia, per il fatto che io l’anno precedente non l’ho passata, e quindi la sto ripetendo.
In generale, da ciò che so e da quanto mi sembra di capire, la scuola in America costituisce un’esperienza più globalizzante, nel senso che tende ad inglobare al suo interno il tuo tempo libero maggiormente rispetto a quello italiano. E, quindi, gli studenti tendono a passare anche le ore pomeridiane in attività offerte dalla scuola.
Sì, infatti molti sono anche in grado di imparare un mestiere a scuola. Ma ciò riguarda anche il semplice stare con gli altri o l’imparare a farlo; cosa che qua difficilmente si vede. Ad esempio, ciò che facciamo con lo StampHalloween, lì lo si fa partecipando nei vari club. Ci sono, per esempio, il club della ceramica, dove si fanno tutti i tipi di vasi, il club di arte, c’è la palestra che è sempre aperta, il club di fotografia. Tutte attività che ti aiutano un po’ ad aprire i tuoi orizzonti.
In quanto a difficoltà, come valuteresti la differenza tra il sistema italiano e quello americano? E, poi, anche in quanto a preparazione e formazione culturale e personale?
Sicuramente quello italiano è molto più nozionistico. Quello italiano ti prepara a un livello superiore, non c’è dubbio. Però, tante volte, la persona singola viene maggiormente valorizzata in America, perché sei in grado di fare scelte personali man mano che vai avanti con il percorso. È chiaro che se uno non la prende seriamente, la scuola americana non serve a nulla. Però, impegnandoti puoi davvero formarti bene. Non sento di affermare che la scuola americana sia decisamente inferiore a quella italiana, ma ha semplicemente ha degli approcci differenti.
D’altronde sull’intraprendenza del singolo si costituiscono le intere fondamenta della cultura americana... Invece, come hai gestito il ritorno al sistema scolastico italiano?
Avendo fatto delle materie che sono state validate dal liceo classico sono stato molto aiutato da quel punto di vista. Gli esami che ho dovuto fare al ritorno erano di poche materie. E in ogni caso mi ritrovato già ammesso all’anno successivo: l’obiettivo degli esami era di verificare le mie conoscenze a scopo indicativo.
La situazione in cui ti ritrovi è decisamente più pesante: devi stare nella stessa classe per 5 ore, a volte 6, facendo delle materie abbastanza intense. Da quel punto di vista è un po’ complicato.
Hai dovuto colmare delle carenze, delle lacune che si erano formate nel corso dell’anno all’estero, o sei riuscito facilmente a riprendere il ritmo dei tuoi compagni?
Generalmente sì, è stato abbastanza facile. Però è chiaro che ci sono state quelle lacune che ho dovuto recuperare successivamente, e che dovrò fare soprattutto in vista dell’esame.
Come valuti questa esperienza? Di cosa, oppure in cosa, ti ha arricchito particolarmente?
Mi ha chiarito molto di me, su quello che voglio fare e, soprattutto, sulla persona che voglio essere. Ti aiuta molto a vedere certe situazioni che prima facevi più difficoltà a vedere. Alcuni contesti diventano molto più chiari. In America si osservano molte situazioni di difficoltà familiari o economiche, specialmente nel posto in cui mi trovavo io. Per cui questa esperienza ti aiuta a comprendere il prossimo e non, diciamo, a rifiutarlo a prescindere. Noi italiani abbiamo una particolare tendenza allo snob, il pregiudizio nei confronti dell’altro. E stare in America mi ha aiutato molto ad andare contro questa idea.
E, come immagino, questa esperienza ti ha aiutato a imparare e a esercitare la lingua inglese, arrivando a padroneggiarla a un buon livello?
Sì, specialmente per quello che è lo slang no? Perché l’inglese che impariamo a scuola non è poi quello che effettivamente si parla nella lingua quotidiana. Anche, per esempio, chi consegue il C1 o il C2, in realtà studia una lingua che non andrà a parlare: è una lingua molto tecnica, molto specifica e scolastica, che non si usa neanche negli ambienti ufficiali o di lavoro.
A chi consiglieresti questa esperienza?
Allora… sicuramente non la consiglierei a qualcuno che non ha capacità di adattamento. In famiglia si sta benissimo, però è sempre un contesto diverso. Ci sono delle cose a cui bisogna adattarsi e non è facile tante volte. In generale bisogna essere molto aperti.
Nel caso in cui qualcuno volesse affrontare questa esperienza, quali sono i costi e le spese che deve sostenere?
Se si ha una borsa di studio si è molto coperti. Se invece non la si ha bisogna essere pronti a spendere una somma ingente. Poi, chiaramente, ci sono tutte le polizze, le assicurazioni. Alcune cose ti sono dovute, altre invece no. Generalmente bisogna essere preparati per spendere un bel po’.
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