L'anno all'estero: l'esperienza di Chiara
- Alessandro Borlizzi
- 8 apr
- Tempo di lettura: 9 min
Chiara D'Amico racconta al microfono di StampNews la sua esperienza vissuta in Svezia.

Assieme a Giorgio Martella, la cui intervista è stata pubblicata qualche giorno fa sul nostro giornale, anche Chiara D’Amico, della classe VC del Liceo Scientifico, ci ha offerto la testimonianza della sua esperienza per aiutarci a comprendere meglio cosa voglia dire davvero compiere un anno di studi all’estero.
Qual è la motivazione che ti ha spinto a fare questa esperienza?
Allora, innanzitutto, è sempre stata una cosa che io ho visto compiere in Paesi come gli Stati Uniti, in Inghilterra, in Irlanda, Nuova Zelanda. Di solito sono sempre gli stessi posti… Io, invece, avevo voglia, essendo una persona curiosa, di scoprire, di vivere una cultura poco conosciuta. Quindi ho scelto un Paese all'interno dell'Unione Europea, proprio per scoprire quanto vicino possa essere un paese, ma allo stesso tempo quanto lontano possa essere la sua cultura. Così ho scelto la Svezia: uno Stato geograficamente vicino all’Italia, ma in realtà molto differente nei contesti umani e quotidiani.
Dove e quando l’hai svolta?
Sono partita il 15 agosto del 2023 e sono tornata in Italia il 17 giugno del 2024, quindi sono stata quasi undici mesi. Mi trovavo nella parte meridionale, a due ore da Gothenburg e a cinque ore da Stoccolma. C'è da dire che la Svezia è molto grande, è quasi due volte l'Italia, quindi ogni città, ogni città importante più che altro, è distante dall'altra veramente tantissimi, tantissimi chilometri. Anche banalmente per andare appunto a Stoccolma, che era la capitale, io impiegavo cinque ore di treno. Sono stata in una città che si chiama Varnamo, con più o meno 20.000 abitanti. Per noi sarebbe reputata una città grande, però per loro era veramente piccola, era una delle più piccole, una cittadina con un centro molto piccolo che aveva poi tante frazioni, tanti piccoli sobborghi. Io vivevo all’interno di uno di questi sobborghi ed ero quindi un po' fuori dal centro, tanto da dovermi muovere molto per andare a scuola e percorrere venti minuti in bicicletta.
Come hai affrontato e percepito la separazione dalla tua vita quotidiana, dalla famiglia e dagli amici?
Diciamo che all'inizio ti sembra tutto nuovo, no? Quando arrivi lì pensi inizialmente molto a dove ti trovi in quel momento, non ti rendi conto poi di aver lasciato effettivamente la famiglia e gli amici. Dopo esserti ambientato, dopo che hai costruito la tua cerchia di relazioni, dopo aver stabilito la tua routine lì, ti rendi conto della lontananza da casa. Inizi a pensare “questa cosa è diversa”, “la mia famiglia non avrebbe fatto questa cosa”, “i miei amici non sono così”, e ti rendi conto davvero di essertene andato, di non poter tornare poi a casa per un po' di mesi. L’impatto del cambiamento iniziale porta percepire un po' il magone, però quasi in un senso positivo, perché comunque sei consapevole di star vivendo un'esperienza che nessuno potrà mai replicare e che comunque ti formerà in maniera determinante. Io ho percepito molto la lontananza nella parte centrale della mia esperienza, perché dopo un po' ti viene la nostalgia di casa, pur senza farti stare male. Poi appunto, come ha detto Giorgio prima, ci vuole tantissimo spirito di adattamento, ovvio che se tu non ti sai adattare è normale che dopo un po' vuoi tornare a casa, sentendo di più il distacco.
Che rapporto hai avuto con la famiglia che ti ha ospitato e con i conoscenti, con gli amici che ti hanno accompagnato nella tua esperienza?
Per quanto riguarda la famiglia ospitante, io avevo una situazione familiare un po' particolare, perché erano due genitori ospitanti che non avevano figli in comune; il mio papà ospitante aveva due figlie “per fatti suoi” e la mia mamma ospitante aveva una figlia “per fatti suoi”.
Quindi erano genitori separati e poi risposatisi?
Esatto, però senza figli in comune.
Con me viveva solamente la figlia più piccola, che era la figlia della mia mamma ospitante. Con lei ho avuto un rapporto, appunto, un po' più stretto. Con i miei genitori ospitanti invece, avendo una cultura basata su criteri diversi, è stato molto difficile ambientarmi. La mia famiglia ospitante è stata comunque una famiglia veramente speciale, però secondo me, dal punto di vista culturale, quindi delle abitudini ecc., ci siamo trovati un po' in contrasto; loro sono molto freddi e distaccati, io sono una persona invece veramente molto aperta. Ma, in generale, questa è una caratteristica culturale propria dei paesi scandinavi. In ogni caso mi hanno dato tutto, tutto l'amore di cui avevo bisogno, ma su alcune cose sono rimasti molto restii per tutta la durata della mia permanenza. A loro voglio comunque un mondo di bene.
E con i tuoi amici e compagni di scuola?
Con i miei amici invece io ho trovato subito, fin dal primo giorno di scuola, un gruppo di ragazze che mi hanno subito accolto. Poi con alcune di queste ragazze, tranne che con due, che sono state poi il mio punto di riferimento, ci siamo un po' allontanate, e una cosa che mi è dispiaciuta tantissimo e che probabilmente avrei cambiato, se l'avessi saputo, sarebbe stato il rapporto con il resto della classe. Oltre a quel piccolo gruppo non è che frequentassi poi tutto il resto dei componenti. Era un contesto molto distaccato, come se fossimo alle medie quasi: maschi contro femmine, gruppetti rivali, ognuno tende a stare per fatti suoi, nessuno si parla. Avrei cercato un po' di annullare le distanze, soprattutto con i ragazzi della classe. Nei loro confronti è mancato quell’amico speciale che vai a vedere ogni giorno, a parte appunto quelle due ragazze con cui ho condiviso tutto e con cui mi sento tuttora. Anche questo, però, è frutto della loro cultura, che li porta a essere molto più restii nell’intessere relazioni rispetto a noi.
Al di là delle divergenze culturali, le differenze tecniche tra il sistema italiano e quello scolastico svedese quali sono? Hai avuto difficoltà ad adattarti?
Non ho avuto difficoltà ad adattarmi. Il sistema svedese è una sorta di mix tra il sistema statunitense e il sistema italiano, perché nella scuola, come noi abbiamo i vari indirizzi, scientifico, classico, linguistico, liceo, eccetera, loro hanno vari indirizzi tutti all’interno di una scuola. Ci sono le classi suddivise per indirizzo; per esempio, io facevo un indirizzo simile al nostro economico-sociale, indirizzo che hanno scelto i miei genitori ospitanti perché era quello più semplice per quanto riguarda la lingua. Avevo la mia classe fissa di persone che vedevo ogni giorno, con cui però ci spostavamo di classe in classe. Per quanto riguarda il resto, studiavamo anche altre lingue, che potevamo scegliere tra spagnolo, francese e tedesco. Io personalmente ho scelto il francese. A livello prettamente scolastico, mi sono resa conto che il sistema scandinavo, secondo me, è un po' più efficiente, perché appunto, essendo questo mix tra statunitense e italiano, ti forma sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista pratico: ore di laboratorio, lezioni frontali; e, soprattutto, lì ci tengono tantissimo alla salute mentale. Non ho mai sentito nessuno essere in ansia per la verifica, o avere ansia per questo e quest’altro, o avere paura della bocciatura. Rivolgono molta importanza anche alla collettività: fanno tantissime attività di gruppo, in cui tu ti riunisci per uno scopo comune. Fanno periodicamente anche delle “discussioni” comuni su vari argomenti per sviluppare la comunicazione.
Il rapporto con la lingua. Quale hai parlato di più? Quale hai imparato meglio?
Sono partita con un livello di inglese già molto alto, partiamo da questo presupposto. I primi quattro mesi dei miei undici ho parlato solo esclusivamente inglese, in attesa di ambientarmi e contestualizzarmi nella nuova lingua, perché lo svedese è una lingua molto difficile. Poi dopo quattro-cinque ho iniziato a parlare lo svedese, a capirlo e appunto a praticarlo con la mia famiglia ospitante, con i miei amici e poi con i professori, fino ad arrivare a parlare solo unicamente quello. Quindi comunque mi ritengo fortunata di aver imparato e di aver avuto una disposizione così alta per imparare una lingua che è completamente diversa da qualsiasi lingua che io abbia mai parlato.
Quando sei tornata, invece, come hai gestito il ritorno? Hai avuto difficoltà a riambientarti nel contesto italiano e hai avuto difficoltà poi a rientrare nei ritmi scolastici italiani?
Sono tornata in estate, quindi comunque il ritmo scolastico l'ho ripreso a settembre. In ogni caso in Svezia ho capito tantissime sull’amicizia, ho compreso chi effettivamente avesse o meno cura di me. Alcune amicizie, purtroppo o per fortuna, le ho dovute troncare. Una volta ritornata ho continuate a coltivare le amicizie su cui sapevo di poter contare, e ne ho anche create tantissime di nuove, proprio perché ero cresciuta a livello personale e di aver modificato il mio carattere e la mia personalità.
Mentre il ritorno alla routine è stato molto semplice, perché io comunque le mie abitudini non le ho mai abbandonate neanche quando ero in Svezia. Ho dovuto avere un grande spirito di adattamento certo, ma nel mio piccolo, nella mia camera, comunque tornavo a essere la Chiara italiana, non ero sempre la chiara svedese che vedevano tutti.
Come sei riuscita a conciliare la diversità culturale con le persone con cui ti sei confrontata?
Per fronteggiare la diversità culturale, io ho sempre cercato di adattarmi, perché purtroppo essendo straniera, vuoi o non vuoi, le differenze ci sono. Per quanto riguarda le mie amiche, io ho avuto la fortuna di trovare due ragazze veramente molto simili a me, quindi le differenze culturali sì c'erano, ma erano assottigliate però per una sorta di compatibilità personale.
Invece con la famiglia c'erano, come già detto, molte differenze culturali, soprattutto nell’ambito dell’abitudine, partendo dal fatto che, per esempio, appena si entra in casa, che tu sia il proprietario, che tu sia l'ospite, devi toglierti le scarpe. E questa cosa è stato uno “shock”. Si chiamano proprio “shock culturali”, in quanto ci sono delle abitudini che ti portano a domandarti “ma sono io quella strana?”. In ogni caso, ciò ti permette di diventare più indipendente: ci sono delle cose che devi farti da solo, non esiste che te le facciano gli altri, come le lavatrici. In generale, ci sono molte abitudini alle quali bisogni abituarsi, soprattutto perché sei tu l’ospite e sei tu ad entrare nella vita degli altri e non il contrario.
E quanto invece alla difficoltà del sistema scolastico, quale hai percepito essere più complicato o esigente dal punto di vista fisico-psicologico?
In Italia ovviamente, avendo dei ritmi più ferrei, più fitti, è sicuramente più stressante, però, guardando le mie amiche che studiavano per dei test, vedevo che comunque anche da parte lo stress per la verifica c'era, ma come è normale un po' che ci sia per la volontà di ottenere un voto alto, per la voglia di imparare. Come detto prima, lì si tiene alla salute mentale, gli psicologi nella scuola ti danno una grande mano per questo; ci sono dei tutor per gestire al meglio queste situazioni. Per questo fatto dello stress, ho ritenuto migliore quello svedese, non di gran lunga però, perché comunque a livello di preparazione, come ha detto Giorgio, siamo imbattibili. Lì ho semplicemente trovato più utili gli argomenti, più spendibili, a livello quotidiano le nozioni che io ho imparato lì sono più utili da conoscere, piuttosto che magari la matematica che imparo qui.
A chi consiglieresti di fare questa esperienza?
Come ha detto Giorgio, anche io condivido il fatto che tu debba avere uno spirito di adattamento altissimo, perché ripeto che non sono gli altri che entrano nella tua vita ma sei tu a entrare nella loro. Poi è necessario ri-adattarsi al ritorno: quando sei all’estero metti in pausa la tua vita, ne ricominci un'altra, metti in pausa quella nuova vita lì, e ritorni alla vecchia. E ritornando ti rendi conto che la tua vita sì l'hai messa in pausa, ma gli altri l'hanno continuata, e quindi hai questo stacco, questo scarto tra te e gli altri. Ti capita anche di non riconoscere più le persone; certe volte sono gli altri a rifiutare la nuova te, perché quando sei tornata sei una persona completamente diversa: tu sei cambiato, lo sono anche loro, e non vi riconoscete più. Anche questo fatto è da tenere in conto.
Infine, per quanto riguarda i costi e le spese che è necessario affrontare per compiere un'esperienza del genere?
Io ho avuto la fortuna di avere una borsa di studio, perché mio padre è un dipendente statale, e ho potuto usufruire della borsa di studio per merito, grazie a una buona media scolastica, offerta dall’INPS con il bando “Itaca”. Mi è stata coperto quasi il costo dell'intera esperienza, più o meno il 75-80%. Però dipende da paese a paese; per quanto riguarda poi le mete più lontane, ovviamente, i costi si alzano. Io ho fatto la domanda per la borsa di studio all'interno dell’Europa; quindi comunque ho avuto più possibilità di essere presa proprio perché la graduatoria era più ristretta. Facendo la domanda per l'Europa, sono risultata, se non mi sbaglio, centesima su 300, il che mi ha quindi consentito di avere coperta una gran parte della spesa. Invece, per esempio, negli Stati Uniti, e in generale al di fuori dell’Europa, ci sono molte più domande e la possibilità è più bassa.
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