Assemblea del 30 aprile: un'occasione persa?
- Maria Medea Cerfeda
- 27 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Le assemblee scolastiche sono diventate spazi vuoti e sempre uguali: tra tornei (soprattutto di calcio) e qualche esperimento musicale, ma rischiano di escludere chi ha interessi diversi. Senza un’organizzazione realmente inclusiva resta poco più di una pausa dalla didattica.

Il 30 aprile si terrà una nuova assemblea d’istituto, un appuntamento che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe rappresentare molto di più di una semplice pausa dalle lezioni. Dovrebbe essere uno spazio di confronto, un momento per uscire dalla routine scolastica e guardarsi negli occhi, parlare, scambiarsi idee, scoprire lati della scuola – e degli altri – che a volte restano nascosti dietro ai banchi. Eppure, assemblea dopo assemblea, ci si accorge che qualcosa non funziona davvero come dovrebbe. Negli ultimi mesi, infatti, il format delle assemblee si è fatto sempre più prevedibile. Tornei sportivi, quasi sempre e quasi solo di calcio. Altri sport – come la pallavolo, il ping pong, il biliardino o il basket – faticano a emergere, spesso per mancanza di partecipanti. La partecipazione si concentra su poche attività, lasciando fuori molti studenti.
Sicuramente perché manca la voglia di fare, ma anche perché non tutti si riconoscono in proposte così limitate. Lo sport è bello, importante, aggregante, ma non può essere l’unica risposta. Una vera assemblea dovrebbe abbracciare più interessi, più voci, più modi di stare insieme. Perché se si continua a proporre sempre lo stesso schema, si rischia di parlare solo a una parte della scuola, e non alla scuola intera. Questa esclusione non è un’ipotesi teorica: è già
accaduta. L’assemblea di novembre, dedicata a un tema importante come la violenza contro le donne, ha visto una partecipazione scarsissima, nonostante la presenza di esperti e interventi validi. In quella di dicembre, gli spazi pensati per giochi da tavolo o attività alternative sono rimasti praticamente deserti. È come se tutto ciò che non ruota intorno al “movimento” – inteso come sport – non trovasse il suo posto. Il comitato studentesco, forse con le migliori intenzioni,
ha finora puntato soprattutto sui tornei, nella speranza di aumentare le presenze. Ma i fatti dimostrano che non basta: l’affluenza non cresce, e le assenze restano tante. Forse è ora di chiederci se il problema non sia cosa si organizza, ma per chi. Un’assemblea inclusiva deve parlare anche a chi non gioca a calcio, a chi preferisce un dibattito, un laboratorio creativo, o semplicemente uno spazio per ascoltare, discutere, immaginare. Proprio per questo, l’assemblea del 30 aprile prova a fare un passo in più. Oltre ai tornei, è prevista una parte musicale: un DJ set o, in alternativa, un complesso che suonerà dal vivo. È un’idea interessante, che cerca di offrire qualcosa anche a chi non partecipa allo sport. La musica può essere un ottimo collante sociale, uno spazio di espressione. Ma anche qui bisogna essere realistici: molti studenti sanno suonare, ma non tutti vogliono farlo in pubblico. Allora, che tipo di assemblea vogliamo costruire? Una in cui partecipano sempre gli stessi? O una dove chiunque – anche chi di solito resta in disparte – può trovare uno spazio, una voce, un ruolo? Un’assemblea ben riuscita si misura dai numeri,certamente, ma anche dalla varietà delle proposte, dall’ascolto reciproco, dalla capacità di lasciare qualcosa, anche solo una riflessione, una curiosità, una nuova consapevolezza. Serve coraggio per proporre cose nuove. Serve anche disponibilità da parte nostra, come studenti, a metterci in gioco, a guardare oltre il “salta la scuola” e iniziare a vederla come un’occasione vera. Perché sì: un'assemblea non è solo una giornata senza lezioni, è un’opportunità per farci sentire, per essere protagonisti della nostra vita scolastica. Per renderla più ricca, più varia, più nostra. E, in fondo, per dimostrare che partecipare ha ancora senso, se lo si fa con la testa e con il cuore.
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